Mobilità

I moderni motori turbo con sistema a geometria variabile

L’evoluzione dei motori turbo e l’introduzione della geometria variabile

Negli anni ’80 quando ci si approcciava per acquistare un automobile i requisiti maggiori erano sostanzialmente due, cioè la cilindrata e la potenza in cv.
In quegli anni spopolavano le auto con motori da 2000 cc e quasi tutti aspirati, con consumi altissimi rispetto ai canoni di oggi, e la domanda che ci ponevano gli amici era “che velocità raggiunge“, mentre oggi ci si chiede quanto consuma. La domanda “quanto fa” ha cambiato risposta con gli anni.

Grazie anche alla formula uno presero poi appeal i motori turbo, per arrivare verso la fine degli anni ’90 con l’introduzione delle turbine a geometria variabile nei motori diesel. I motori a benzina in quel periodo erano ancora quasi sempre privi di turbo, salvo alcune eccezioni come le auto sportive.
Infatti anche la geometria variabile fece la sua comparsa in un motore turbo a benzina solo alcuni anni dopo grazie alla famosa Porche 911.

Geometria variabile o alette fisse? La differenza

Senza usare troppi giri di parole fa detto subito che la sostanziale differenza tra una turbina con alette fisse rispetto ad una a geometria variabile è che quest’ultima ha le palette, o ali, che si allungano a seconda della portata d’aria da gestire, e quando vi è maggior richiesta di potenza queste si allungano per poter immettere un maggior volume d’aria verso il compressore.

Questa soluzione è stata trovata per cercare di ovviare al problema conosciuto come turbo-lag, il ritardo che si ha nella risposta del motore ai bassi regimi, ovvero quando siamo ad un basso numero di giri. Con l’ausilio delle centraline elettroniche, quando siamo in questa situazione interviene la geometria variabile andando ad aumentare la portata d’aria.

Ai bassi regimi le palette sono quasi del tutto chiuse, in modo da limitare il più possibile la portata del flusso d’aria in ingresso. Con l’aumentare del numero di giri aumentano anche i gas di scarico che vengono direzionati verso la turbina, ed è li che le alette aumentano il loro raggio di apertura per confluire maggior volume d’aria verso il compressore.

Per lavorare bene è opportuno però ricordare che una turbina a geometria variabile e la mappatura della centralina devono essere correttamente tarate, per cui nel caso il vostro motore turbo dovesse dare noie come strappi, vuoti, non rispondere correttamente in fase di accelerazione, forse è il caso che portiate l’auto dal vostro meccanico di fiducia.
Questo a sua volta difficilmente potrà sistemare da solo il problema, ma se si rivolgerà ad una officina specializzata in revisioni e rigenerazioni di turbocompressori allora il vostro motore turbo dovrebbe uscire come nuovo.

Una raccomandazione, dal momento che oggi è molto diffusa la pratica del “fai da te”, ovvero comprare da soli online pezzi di ricambio auto per risparmiare un po’, cercate sempre di verificare bene sia la fonte (deve essere un fornitore conosciuto) che la qualità del prodotto. A tal proposito leggete anche questo articolo sul mercato online dei pneumatici.

Il ciclo Atkinson/Miller nei moderni motori turbo

Dicevamo che le turbine a geometria variabile sono state per anni prerogativa dei motori diesel, ma negli ultimi anni sono montate normalmente anche nei motori benzina, soprattutto con l’avvento dei motori ibridi, e questo grazie all’uso di motori con ciclo Atkinson/Miller.

Prima di trattare questo argomento facciamo però un passo indietro, parlando cioè del ciclo Otto, quello che tutti conosciamo grazie alle lezioni di scuola guida.
Il ciclo otto si basa essenzialmente sulle 4 fasi della combustione, motivo per cui viene chiamato motore a 4 tempi, che sono:

  • Aspirazione
  • Compressione
  • Combustione
  • Scarico

Purtroppo questo ciclo classico ha il difetto di avere molta energia spesa per le 3 fasi negative e produrre energia positiva solo in fase di combustione, per cui per migliorare l’efficienza di questi motori l’ingegnere ed inventore James Atkinson studiò un sistema di leveraggi capaci di modificare la corsa dei pistoni nelle due

fasi di compressione ed espansione, arrivando ad avere un guadagno in positivo di energia prodotta rispetto a quella consumata. In poche parole, aveva trovato un metodo teorico per abbassare i consumi.

Bisogna poi aspettare quasi un secolo ed arrivare negli anni ’60 per trovare un altro ingegnere, l’americano Miller, il quale brevettò un ciclo sfruttando l’idea di Atkinson riducendo però la pressione in fase di combustione in un normale motore a ciclo Otto, sfruttando questa volta una valvola di scarico.

Per dirla semplicemente, la valvola di scarico viene posta sulla testa del cilindro e scarica la pressione nella prima parte di salita del pistone per poi chiudersi. Il problema di questo ciclo è però evidente, cioè che calano le prestazioni dovute ad una minor compressione in fase di combustione, ed anche se si ottimizzano i consumi non è poi così conveniente.
Con l’avvento delle auto ibride, però, è tornato di moda perché il gap di potenza viene appunto erogato dal piccolo motore elettrico aggiuntivo, ed in questo modo si hanno meno consumi e potenze adeguate.

Oggi, poi, anche se i motori mantengono la definizione di ciclo Atkinson o Atkinson-Miller, in realtà il funzionamento è diverso, cioè per ridurre i consumi si lavora sui tempi di apertura delle valvole di aspirazione attraverso l’ausilio dei variatori di fase ed anche grazie all’uso dell’iniezione diretta.

Turbine a geometria variabile, problematiche comuni

Come dicevamo prima può capitare che anche il più moderno e nuovo dei motori turbo con geometria variabile dia delle noie come risposte ritardate del turbo, vuoti, o malfunzionamenti ai bassi regimi, e questo può derivare da una cattiva taratura o calibrazione del turbocompressore e della centralina che lo comanda.

Infatti una cattiva calibrazione potrebbe portare ad una apertura delle alette esagerata o al contrario ad avere le alette troppo chiuse.
Nel primo caso si arriva ad avere troppa poca aria in camera di scoppio, il che significa anche temperature troppo alte, mentre nel secondo caso, cioè con le alette chiuse, potrebbe esservi la generazione di una energia esagerata con aumento della pressione in fase di scarico e delle temperature del gas in uscita. In questo modo

si rischia di arrivare al blocco della turbina ed anche al grippaggio del motore, ovvero la catastrofe maggiore possibile, ed in tal caso più che pensare ad una riparazione è forse più opportuno pensare a vendere l’auto anche se da riparare.